di Eugenio Tabano, prefazione di Daniele Ramadan,
Audax Editrice (http://www.audaxeditrice.com)
aprile 2021, 174 pp.
Questo testo è frutto dell’unione di quattro Raccolte di versi che danno compimento
alla Parola di Tarsis stabilendo in questo luogo e tempo una Corrente spirituale che dà Forma alla Ricerca dell’uomo
verso l’Unico Reale che pur chiamato con nomi diversi ha un’identica sostanza e un solo Significato.
Tale Corrente è il Flusso dell’Acqua della Vita personificata da Salman il Persiano che diventò Amico Prossimo
del cugino e genero del Profeta Muhammad, Alî ibn Abi Talib, la Guida per eccellenza sul Sentiero della Realtà,
Guida dell’uomo verso l’Uomo Compiuto, secondo la misura che è destinata ad ognuno dal Suo Principio.
Nei versi la Guida è Principe di Giustizia, Signore del Patto, Sigillo del Tempo ed è il Se stesso Reale
d’ogni uomo, il Signore del Giorno del Giudizio che per ogni vivente sarà il Giorno della Verità.
E’ in tale Giorno che sarà placata la Sete del Sincero che anela a ritornare al proprio Signore che è il
Sé autentico d’ogni uomo. E’ quindi verso coloro che hanno necessità di quell’Acqua che i versi procedono portando
a costoro la Risonanza d’altri Luoghi e Tempi dove ancora la nebbia della presunzione delle menti e dell’ottusità
dei cuori non aveva coperto totalmente la Realtà dell’uomo e dell’esistenza.
Di Daniele Ramadan, per Hassan Ramadan
Firenze, 05/03/2021
Nel 2013 Eugenio Tabano e mio nonno, il prof. Hassan Ramadan, guida spirituale degli alawiti, si sono incontrati. Non è mio diritto rievocare le parole che sono state pronunciate in quell’occasione circa le conoscenze di Eugenio Tabano. Dirò al Lettore ciò che invece è nelle mie facoltà dire, e in questo spero di non venire meno al dovere nei confronti di mio nonno.
Le poesie che seguono in questo libro sono un viaggio nell’importanza del reale. Sia l’uso ricorrente della lettera maiuscola, sia il procedere invocativo dei versi stessi, sono la prima traccia di questo anelito. Il Lettore è un viandante sulla strada battuta dallo scrittore, il cammino che si prospetta è una ricerca della realtà.
La ricerca della realtà è una tematica quanto mai attuale e di concretezza mondana. Dopotutto, il compito del saggio della città è più arduo e apprezzabile rispetto al compito del saggio della montagna. Non soltanto perché alla conoscenza e alla fede è opportuno far seguire le opere, ma anche perché gli intrecci lungo i quali le nostre esperienze si snodano sono spesso difficili da districare, e le maglie della societas sono senz’altro più fitte rispetto all’anacoresi dell’eremo.
Queste poche, imperfette parole circa la realtà non intendono affrontare l’argomento di come essa debba connotarsi, se al modo di una res, ovvero come una sostanza di qualche tipo, oppure al modo di un flusso di essenze che si manifestano, se essa è precipuamente forma oppure materia. Grazie ad alcuni esempi sarà forse più chiaro il sentiero reale a cui alludo.
Partiamo dall’esperienza. I giorni che ci aprono i nostri sensi sono fatti di un alternarsi di luci e ombre, di gioie e dolori, di un tempo che scorre, siamo argilla in mutamento. Questo è per noi il darsi del "giorno". Eppure, il "giorno" a cui tutti noi ci riferiamo quotidianamente si dà in modo reale soltanto lungo il cammino che conduce al Giorno del Giudizio, che potremo tranquillamente chiamare il Giorno della Realtà. È Quel Giorno, l’unico giorno, sotto la cui egida diventano reali tutti i giorni delle nostre vite, senza il quale i nostri giorni non sarebbero davvero "giorni".
Altri esempi di ricerca del cammino potrebbero consistere nel chiarificare il "progresso", l’"evoluzione", il "guadagno", la "cura", la "libertà", giusto per citare qualche aspetto caro alla temperie attuale, senza la cui comprensione si rimane alienati dalla realtà odierna. È dunque un compito ineludibile. Prendiamo il "guadagno". Un animo sensibile può intuire la distopia che segue dal quantificare ogni rapporto o azione umana, magari in termini economici o di potere. Chiamarlo utilitarismo o pragmatismo non semplifica le cose. Imboccare il sentiero della realtà significa capire come il problema con il "guadagno" non è intrinseco al guadagnare stesso, ma si manifesta quando non diciamo del guadagno ciò che esso è davvero.
Quando conversiamo con un amico, lo facciamo perché stiamo guadagnando in amicizia. Quando compiamo un’opera buona, noi stiamo in effetti guadagnando più di ogni altro investimento. Non si deve rinunciare a guadagnare, bensì è importante riappropriarsi della realtà, soppesando quale sia il vero e più durevole guadagno. La persona che oggi tutti riconoscono come la più abbiente, nel saldo reale potrebbe rivelarsi la più mendica.
Alla luce di ciò, chiamare questa "Prefazione" con l’appellativo di "metafisica" è quanto mai irreale. Si tratta piuttosto di un abbozzo di analisi filosofica del testo che il Lettore sta per intraprendere. Aristotele chiamava la sua ricerca della realtà con il nome di "filosofia prima" oppure semplicemente "ricerca", per l’appunto, alludendo allo stesso sentiero a cui stiamo vagamente accennando qui, e che Eugenio Tabano fa vivere in molti dei suoi versi. Aristotele rimandava in tal modo all’Idea di foggiatura platonica, ravvisabile con la Dialettica. È nel moto del domandare e del rispondere che si delinea una via: Hidaya verso l’Idea. È il dono agli umani nella loro natura, la buona epistemologia circa la realtà. È la parola detta e ascoltata, il domandare e il rispondere, il dialogo che può germogliare di maestro in allievo: Hidaya verso l’Idea. La via del reale è il dono della dialettica, il sentiero dell’eloquenza, profuso nell’universo fino ad Adam. Ciò che per noi uomini assume il nome di "metafisica" si rivela invece una sovrastruttura mimetica di questa realtà. Sento il dovere di lasciar intendere un monito per il Lettore in questa Prefazione. Nel desiderio di andare oltre, ciò che gli uomini hanno chiamato "metafisica" si volge a un’impossibilità e l’impossibilità a una inattività nei confronti del bene.
La guida Alî ibn Abi Talib (AS) sottolinea mutuamente sia l’incommensurabilità sia la continuità dialettica che cancellano qualsiasi metafisica del reale: "Se voi aveste potuto vedere quello che hanno visto quanti di voi sono morti, sareste sconvolti. Allora voi mi avreste ascoltato. Ciò che essi hanno potuto vedere rimane ancora nascosto presso di voi. Presto il velo sarà alzato e voi conoscerete. Io vi parlo con parole di verità ed esse mi vengono da Dio. Dopo i Suoi Messaggeri solo l’uomo può comunicare ad altri uomini la parola di Dio". Con quali orecchie sono state udite queste parole? Con quale voce sono state lette, e quale mano ha sfogliato il libro dove erano vergate? Con l’intelletto di chi, è stata intuita tale verità? Si è scaldato il cuore nel petto d’argilla? Quale mano opera il bene, qui e ora? Ha un’importanza reale prendere coscienza della propria umanità, e tale importanza è ancora la dialettica.
Come abbiamo fatto per il "giorno" o per il "guadagno", e come è opportuno fare per tutte le altre cose, anche la "metafisica" va ricondotta al cammino della realtà. La realtà non è più l’oggetto della fisica, ma il dominio della fisica è la metafisica stessa. La metafisica non è più l’oggetto di ciò che siamo soliti chiamare spirito, ma il dominio di questo spirito è la realtà tutta. Abbiamo la fortuna di avere un segno, oggi, che con ogni probabilità è il segno dei nostri tempi, il quale può farci capire. Ciò che i più chiamano con l’appellativo di "scienza", riferendosi alla tecno-scienza sperimentale dell’evo moderno, diventa una grande struttura metafisica poiché si risolve in un’imposizione capillare dicotomica. Quando la scienza degli uomini odierni si pone come unica e certa verità, contro la falsità di qualsiasi altra conoscenza, essa si fa architettura metafisica. Abbandonare tali pastoie è oggi, a mio avviso, l’obiettivo di una scienza che voglia davvero dirsi tale. Se così non accadrà, assisteremo in breve tempo alla più fanatica e cruenta delle imposizioni tiranniche, e la metafisica umana si mostrerà di nuovo per quella che è, ossia il palazzo del tiranno.
La fenomenologia dell’imposizione è quanto mai utile per rivelarci una mimesis della realtà. L’adulatore è colui che impone di essere incensato a sua volta, mentre chi ama lascia libero di ricambiare il proprio amore. L’adulatore è il debole, colui che è costretto a costruire il suo potere. La costruzione architettonica del potere umano è l’errore del debole, è l’infingimento del reale, la perversione dell’adulatore, la trama che si rivelerà una trappola per chi lo segue e per se stesso. Tra colui che blandisce e colui che ama sussiste la medesima differenza di realtà che eravamo intenzionati ad acclarare sin dall’inizio.
La dialettica del reale ci avverte in questo modo sia di possibili fratture gnoseologiche sia di un’architettura mimetica che desidera costruirsi. Sono due aspetti intrinsecamente legati e vanno di pari passo con il potere. La costrizione della costruzione va a coprire il plenum e il continuum del reale, dividendo tra dentro e fuori. Quando gli uomini hanno la presunzione di apportare questa divisione, essi ergono il palazzo della tracotanza, fuori dalle cui mura di mortale verità alberga un falso-contrario da punire, e da negare, con l’ansia mondana del debole. È la stretta dicotomia dell’essere contrario al non-essere, è l’essenza di ogni potere che in quanto tale desidera sempre arrivare a padroneggiare il nulla. Dalla tentazione del potere gli uomini farebbero meglio a emendare se stessi. La realtà invece non presenta strappi né lacerazioni di contrarietà. Il mondo in cui viviamo è prova reale e grandiosa da affrontare, è condicio sine qua non, è mutuamente rivelazione di conoscenza e professione di umiltà. "Benedetto sia colui che ha creato i sette cieli uno sull’altro, perché tu veda che nell’opera creatrice dell’abbondante in misericordia tutto è armonioso. Guardati attorno: scorgi tu fenditure? Guardati attorno altre due volte: lo sguardo tornerà a te smarrito e stanco." (Corano, 67:3-4). Esistono diversi gradi di realtà, ma la diversità non è per noi da intendersi come una negazione contraria. Nella creazione reale si danno differenze e gerarchie, ma non si dà contrarietà negante, né politeismi di tal fatta. Giungerà sì, come squillo di tromba, l’atto beatifico dei vessati, la promessa di speranza, che corrisponde all’atto di scoramento dei vessatori e alla promessa della loro disperazione: il falso non è vero, il nulla non esiste. Solo Dio può, se vuole, ed Egli è il clemente e il misericordioso - non tarda a ribadire il Corano subito dopo, professando così la più perfetta forma di monoteismo.
Un’architettura che vuole ergersi non è soltanto un edificio di pareti tangibili. Un fuoco che arde nella tenebra alza un muro, una radura tra luce e ombra, producendo il cerchio entro cui ci si può sedere e fuori dal quale non si è più al sicuro. Anche il nostro utilizzare oggetti e strumenti, così come un sistema di conoscenze e credenze, sono forme di costruzioni architettoniche. Gli artefatti, per esempio, sono esistenze fatte venire dalla possibilità, che conferiscono la possibilità, e perciò ci fanno capire ancora molto sul potere. Il nostro discorso si aprirebbe adesso alla questione della "tecnica", ma non è la sede giusta per intraprenderla. Mi permetto soltanto di sottolineare che l’architettura eretta dalla tékhne è una rete, e una rete è composta di catene. Attenzione dunque, perché questa rete è ben altra cosa rispetto a quel "velo" usato come metafora dall’Imam Alî per distinguere le diverse forme della realtà. Tra rete e velo c’è ancora una volta la differenza che intercorre tra mimesis e realtà. La rete è per l’appunto un’architettura mimetica che va consolidandosi, ingannando circa il potere conferito, disunendo il reale. Il velo è invece la diversità manifesta all’interno dell’unicum reale-naturale tra le fenomenologie delle creature di Dio, ovvero tra quella dell’uomo d’argilla e quella dell’angelo di luce eburnea. Liberarsi dalla rete significa non vederla e vederla, poiché è infingimento. Alzare il velo significa vederlo e non vederlo, poiché è realtà.
Chiunque abbia costruito la propria architettura, rete o trama o catena, inganna se stesso poiché sarà soggetta a distruzione, stiamo vivendo in una casa che crolla. Non v’è cerchio che può chiudersi né occhio che tutto conosce, chi è nato morirà e chi è davanti sarà dietro. L’Imam Alî indossava vesti di ruvida lana, Gesù dormiva su un cuscino di pietra, il Profeta Muhammad era solito spostarsi sul dorso di un asino e dietro di sé portava sempre qualcuno, David vendeva canestri di palma, Mosè si saziava di pane e erbe. Questi sono dei grandiosi esempi di distacco dall’impero del tiranno, sono il fendente che rompe le catene - materiali o concettuali che siano. Eppure la realtà più immediata è che noi siamo uomini, siamo di natura mortale e per nostra costituzione non c’è concessa questa forza perfetta né una totale liberazione dalle catene.
La consapevolezza della nostra umanità è il modo migliore per tentare di fuggire dalle reti che ci vogliono incatenati quotidianamente. È anche il modo migliore per mettersi nella condizione di alzare il velo tra i mondi. Nel concreto si tratta di lodare Dio, di compiere opere buone, di prendere cosa c’è di buono in questo mondo, di domare i desideri, di non isolarsi, di vibrare nel conoscere, di lottare e predicare attivamente. Percorrere il sentiero dell’eloquenza verso il reale, strada che Eugenio Tabano dà prova di avere intrapreso regalando al Lettore i suoi versi, passa da molte tappe e difficoltà, come si è visto. L’atteggiamento da tenere è dunque il giusto mezzo, la mo-derazione. L’Amir al-Muminin guida i suoi in questo modo: siate come chi deve trasportare un carbone acceso: non potete lasciarlo cadere, né stringerlo troppo forte.
Dare una visione completa d’una Testimonianza Tradizionale nel mondo attuale è quanto abbiamo fatto nel corso
del tempo per chi ha letto I Fogli dei Quaranta, Il Sentiero dei Lupi e I Fogli dell’Arca
che mettono in luce i principi spirituali, ideali e metafisici che hanno preso corpo nella Testimonianza iniziata
nel 1990 e arrivata sino ad ora per completarsi in questa raccolta di scritti attraverso i quali la forma
tradizionale che passa sotto il nome di “Tarsis” si manifesta nella sua interezza.
È il dominio del Mistero della conoscenza di se stessi che traspare nella raccolta che segue, assieme ad una
forma spirituale che dà sostanza a una gnosi unica che da un antico inizio ripercorre il cammino di Salman
il Persiano e, passando attraverso la Tradizione iranica, illumina un particolare concepimento della persona
di Gesù e del suo insegnamento, per giungere alfine all’interno dell’alveo islamico e compiersi nella realtà
spirituale di colui che storicamente appare come cugino e genero del Profeta Muhammad, Alî ibn Abi Talib.
Il Filo d’Oro che lega queste tre forme e che in sé è unico, in questo passaggio di tempo e fine del ciclo,
recupera la sua forma antica rendendola “nuova”.
E noi ben sappiamo che ogni vera Tradizione è nella sua essenza una forma rivelata. Di tale forma noi cerchiamo
di rendere lo Spirito introducendo chi ci segue all’eterna ricerca dell’uomo che vuole ritornare al suo Se stesso
autentico e reale che non è altro che “il Volto di Dio per la creazione” che, pur chiamato con molti Nomi, per noi è l’Altissimo, il Principe delle Api, Alî.
Questo testo richiama al compito che in questi tempi ogni Credente ha di riporre al centro della propria Azione
la Testimonianza del Vero, la Via che vi conduce e la Lotta interiore, sia in sé che nel mondo, contro la Menzogna
e la Falsità, contro tutto ciò che copre la Reale Natura dell’uomo fuorviandola verso altro da Sé, verso le fantasie
della psiche e dell’inganno perpetrato da quelle forze che hanno come solo fine il proprio potere sulla Vita e sul
Vivente per oscurarli alla dimensione celeste superiore e originaria d’ogni essere e dell’Esistenza.
Sin che un mondo c’è, tale Lotta è in atto, come è in atto la Lode dell’Unico e delle sue manifestazioni nella Luce,
nello Spirito, nella Gnosi del Principio che è Signore d’ogni essere che da Lui origina, attraverso Lui vive e a Lui
ritorna.
Che vi sia un Nome dietro le cose che qui vengono dette, e quindi una Forma di Fede precisa, oppure che il Nome sia
implicito e la Forma esemplare, la Sostanza dalla quale attingono I Fogli della Lode, quelli della Lotta,
L’Anello della Fede e Il Signore del Patto ha un unico Fine: quello di mettere in Luce l’orientamento
della Volontà dei Credenti che in questo mondo hanno sempre combattuto per la Verità, per la Fede, per l’Unico,
sostenuti dal Soffio del Vivente proveniente dall’Atto della Piena Realizzazione di Se stessi. Non una verità per
sentito dire quindi ma effettiva, completa, efficiente ovvero “che fa” che il Vero sia in questo mondo e che partecipi
all’Azione di Colui che, pur essendo chiamato con molti Nomi, ha un’unica Realtà, e che è l’Atteso, Colui che in
un mondo sprofondato nell’ingiustizia e nell’oscurità, porterà “la Riparazione” dei torti subiti dai Giusti in
ogni tempo, il Ristabilimento della Giustizia, la sconfitta dell’Oppressione e la Luce della Verità Unica nei cuori
e sulla terra.
Trieste, 31 gennaio 2021
È come se una Luce entrasse in altra Luce
o un Segreto nascosto in un Segreto
o il Cuore in altro Cuore
più grande e risplendente
di quello ch’era prima.
È come se l’Altissimo
che vuole solo Sé
dicesse ad ogni cosa di lodarLo
per far di esse una cosa sola
in Lode del Suo Nome
che sta oltre ogni cosa.
E questo è come dire
di far di molti l’Uno
che sempre era ed è
prima di tutto.
Perciò che ’Alî è il Primo
perciò che ’Alî è in Fine
perciò che ’Alî è nel Mezzo
di ogni mondo e cuore.
Come potrei non dirmi Suo devoto
come potrei non dirmi al Suo Servizio
se Egli in ogni tempo
di questa breve vita
m’ha dato Prova certa
del Suo Potente Rango
del Suo Lucente Occhio
del Suo Alto Volere
per farmi alfine entrare
nella Sua Gran Famiglia
che ha nel Cielo il Luogo
del Suo Manto
riflesso sulla terra
e dentro i cuori.
Come potrò a questo Altissimo Mistero
dare Forma
se non quella dell’Uomo Universale
che a ogni sguardo appare
come Uno
dal luogo più elevato che vi sia
in ogni mondo e tempo.
Solo seguace mi sembra poca cosa
solo fedele mi manca la parola
solo pensarlo mi fa la mente vuota
solo guardarlo mi rende l’occhio cieco.
No! Il Vivente, l’Altissimo Signore
solo a chi ha reso Uno
rivela il Suo Sembiante
che lingua umana poi
non può svelare.
Solo a costui consegna
l’Anello luminoso della Fede
la Stretta d’una Mano
purissima e splendente
alfin che sulla terra
glorifichi il Suo Nome
ad ogni uomo degno di portarlo.
Ed è perciò che ’Alî è il mio Signore
e che la Fede che Lui ha fatto mia
è l’Alauia.
Di Ezio Albrile, Archivi Di Studi Indo-Mediterranei XI (2021).
Eugenio Tabano è un poeta 'gnostico', segnatamente sciita, cioè configurato in quella corrente religiosa scaturita dal verbo del cugino e genero di Muhammad, 'Ali ibn Abi Talib. L'Occidente colto ed erudito ha conosciuto gran parte di questa religiosità 'gnostica' grazie all'opera di un sommo filosofo e iranista, Henry Corbin (1903-1978). Corbin ci ha insegnato che ogni realtà possiede due livelli: uno manifesto, apparente, exoterico (zahir) e un altro interiore e segreto, esoterico (batin), celato sotto l'ombra del reale e scomposto in altri livelli ancora più nascosti (batin al-batin). Tale dialettica tra il visibile e il nascosto, l'exoterico e l'esoterico, distinto ma interconnesso, costituisce il fondamento della 'gnosi' sciita celebrata nei versi di Eugenio Tabano. Dio stesso è rappreso in due livelli ontologici: l'essenza (dat), inconcepibile, inimmaginabile, al di là di ogni conoscenza. È il Deus absconditus afferrabile unicamente nella negazione, il «Dio che non esiste» dello gnostico Basilide, l'inconoscibile che racconta l'opacità del divino nel silenzio linguistico e metafisico di un Wittgenstein; un filosofo che mescolava idee tardo romantiche con un sentire gnostico diviso tra esigenza totalizzante di conoscenza dell'assoluto e percezione della crisi.
Concepita con accenti nichilisti di rifondazione della metafisica, l'opera di Eugenio Tabano codifica la cultura europea della crisi con temi e motivi di un pensiero negativo che attinge a piene mani dall'universo dell'antico gnosticismo. L'opposizione tra pneuma e psyche, tra ideale e reale, è rivissuta quale collisione fra élites illuminate e oscurità di masse preda di proiezioni illusorie. La nozione di 'gnosi' nel mondo del terzo millennio sfugge ai più e sedimenta negli anfratti dell'Islam sciita, forse l'unica e vera rivoluzione culturale che può opporsi al dispotismo virologico, pandemico.
Ma nello gnosticismo sciita affiora un ulteriore livello di significato: Dio, nella sua grazia infinita, fa sbocciare nel proprio essere il linguaggio (asma' wa sifat) con cui si rivela e si rende conoscibile. Ciò che rende fruibile la divinità nel concedersi al 'mondo' è l'Imam, l'identità cosmica di Dio, archetipo universale. La conoscenza della sua realtà equivale quindi a ciò che si può conoscere di Dio, poiché l'Imam cosmico costituisce l'aspetto rivelato, il livello exoterico di Dio.
In età bizantina una cerchia gnostico-iranica, sciita, si arruolò (era circa l'830 d.C.) nell'esercito dell'imperatore Teofilo. Erano i discepoli del «velato» al Muqanna', che rivestiti dei loro tradizionali abiti rossi, praticavano la Khurramiyya = Khorram-dinan «la gioiosa religione», il cui fulcro era l'opposizione fra Luce e Tenebra, l'uso sacramentale di bevande alcooliche e una ferma fiducia nella metempsicosi. Lo scrittore al-Maqdisi si dice convinto che fossero zoroastriani camuffati da islamici, un movimento protestatario e rivoluzionario, impegnato a coniugare gnosi sciita con l'antica religiosità mazdea. Esempio di crasi fra fedi apparentemente dissimili.
L'Imam cosmico anch'esso è scisso in una duplice realtà, exoterica ed esoterica. Nel suo aspetto 'rivelato' egli appartiene a una catena ininterrotta di «santi» che nell'insieme costituiscono la grande accolta degli «Amici di Dio» (wali, plurale Awliya Allah), quelli che portano e trasmettono l'Amicizia o l'Alleanza Divina (walaya), un cardine di tutta la dottrina sciita.
Poiché Satana è l'Avversario (zedd) per eccellenza di Adamo, la storia dell'umanità è segnata dalle avversità e dalla violenza delle forze demoniche della nescienza. Durante il ciclo adamico queste forze sono egemoni; e sarà così fino alla Fine dei Tempi e all'avvento del Mahdi, il Salvatore escatologico in cui rivive la figura iranica del Saoshyant- (> pahlavi Soshans) letteralmente «Colui che farà prosperare», il Salvatore futuro che nei testi avestici è chiamato Astvat.ereta «Verità incarnata». Con l'inizio della Resurrezione l'adepto sciita realizzerà interiormente il ta'wil, l'interpretazione spirituale, risvegliando l'Uomo di luce: il ta'wil è l'Imam in persona, l'Uomo o Adamo primordiale, immagine terrestre dell'Anthrôpos celeste. Di fatto è nella realtà apparente, zahir, che si ritrova il significato intimo, esoterico, batin, dell'esistenza che la trascende, cioè la gnosi, la conoscenza dell' «esistente assoluto» (mawjud-i mutlaq). Le nostre biblioteche sono luoghi di pena dove vivono rinchiusi i maestri del pensiero occidentale, Kant e così Nietzsche, Schopenhauer, Pascal, Voltaire, Montaigne, tutti per sempre e in eterno, per tutti i tempi e all'infinito: l'Occidente vive la 'conoscenza' come un sovrappiù, un 'plusvalore' da evocare nei momenti di necessità. E guai se uno di questi uomini che hanno commesso il delitto capitale di pensare si dà alla fuga e scappa, subito viene per così dire impacchettato e reso ridicolo, la verità è questa. L'umanità è in grado di difendersi dalla conoscenza, la rifugge e la confina nel regno del superfluo. Dovunque si presenti lo spirito, subito viene impacchettato e ingabbiato, e ovviamente subito etichettato come spirito malefico. È tutto assurdo ciò che gli occidentali raccontano, presi nell'estasi della merce: qualsiasi cosa diciamo è assurda e l'intera nostra vita è di un'assurdità davvero unica. Questo pochi lo comprendono: tutto quello che diciamo è assurdo, ma ugualmente assurdo è tutto quello che ci viene detto dagli altri, come del resto ogni cosa che viene detta in generale; sinora sembra siano stati pronunciati solo discorsi assurdi e com'è ovvio sono anche state scritte solo cose assurde, tutte le opere scritte in nostro possesso sono assurde perché non potevano essere altro che assurde, come la storia dimostra. Un malinteso ci fa venire al mondo, in questo mondo di malintesi raramente si ode un grido di ribellione. Per questo l'adepto sciita è costantemente chiamato a coltivare l'amore incondizionato, la lealtà e la volontaria sottomissione all'Imam; è la «Sacra alleanza», la walaya, finalizzata a contrastare l'ignoranza del mondo, il duello cosmico combattuto fra le forze della conoscenza e quelle della nescienza. L'intera storia dello sci'ismo può essere considerata come una lotta fra questi due poli. In questa duplice visione del mondo, il ruolo dell'Imam è fondamentale, poiché egli è il portatore per eccellenza di una conoscenza ancestrale, il trasmettitore di verità segrete, celate ai più; l'Imam riceve ispirazione dagli esseri celesti, egli è muhaddat «colui che parla agli angeli». Può ascendere in cielo per rinnovare e accrescere la propria conoscenza. In un tempo anteriore un personaggio affine era Ermete Trismegisto, la cui funzione rivelativa è alla base di peculiari rappresentazioni che ritroveremo nella 'gnosi' sciita: nello sci'ismo duodecimano si parla di una sequenza di dodici presenze divine, di dodici Imam, che in realtà sono uno, l'Adamo o il Seth iniziali, l'Anthrôpos di luce gnostico, l'Ermete eterno. Nell'immaginario sciita si uniscono fascinazioni iraniche, cioè gli insegnamenti zoroastriani sul Saoshyant, il benefattore futuro, con motivi gnostico-ermetici.
Nei sistemi gnostici sovente le fattezze del Salvatore sono personificate dal secondo figlio di Adamo, il sostituto di Abele, Seth. Seth è la «generazione vivente», il seme benedetto in cui è racchiusa la «gnosi di vita». Oltrepassando la caducità del divenire, attraverso le ère cosmiche si comunica, inalterato, lo «Spirito profetico» racchiuso nella generazione degli eletti, la potenza spirituale che da Adamo si comunica all' «altra stirpe», quella di Seth. L'Allogeno, lo «Straniero», è l'esito gnostico del mandaico nukraya, e allude allo sperma heteron menzionato nei Settanta per designare la progenie di Seth; è lo anôdag dei testi manichei in medio-persiano. «Straniera» è la Vita ipercosmica, trascendente, «straniero» è il messaggero, l'inviato, l'Apostolo di Luce, il frestag rôsn dei testi manichei, che giunge nel mondo della maculazione, cioè nel nostro mondo, per liberare le scintille di luce ivi intrappolate. «Straniera» è anche l'Anima, precipitata in questo universo cangiante, regno della molteplicità. Pur consapevole che la sua patria non è il mondo, l'Anima è incline, come per inerzia, ad adagiarsi in esso, invasa come da un senso di torpore che la rende incapace di rispondere al richiamo del Regno della Luce. Con le sue sole forze essa non può sperare di liberarsi senza l'aiuto di un liberatore, di un Inviato che la sottragga agli influssi del mondo e la risvegli alla vera Vita. L'«Inviato» è «Straniero», estraneo a questa modalità di esistenza, ma allo stesso tempo «esiliato» dal mondo luminoso. Ciò significa che esistono due alterità dell'Inviato - il Salvatore gnostico -, la prima verso il mondo divino, il plerôma da cui si è separato, la seconda verso il mondo dominato dalla Heimarmene [il Destino] fatale e dagli Arconti malefici.
Una delle più interessanti e suggestive testimonianze del sistema manicheo è contenuta nel nono capitolo di un'importante opera eresiologica islamica, il Kitab al-Fihrist di Ibn an-Nadim. Una sequenza ci interessa da vicino, quella dedicata ai tempi delle origini, in cui il diabolico Arconte al-Sindid instilla il desiderio nella coppia primordiale, insegnando, sillabando sottovoce ad Eva le parole magiche affinché s'infatui di Adamo. Per rendersi più seducente, Eva si adorna con ghirlande e corone di fiori. Adamo, folle di desiderio, si unisce a lei generando Seth, un bimbo raggiante luce. La cosa manda su tutte le furie l'Arconte. Colmo d'invidia, in un fiotto di rabbia sbotta verso Eva: «Il pargolo non è uno di noi, è uno Straniero». Si ripropone la tematica del Salvatore gnostico Seth, estraneo al mondo e ai suoi inganni. Per questo, seguendo i dettami dell'Arconte al-Sindid, Eva tenta di sopprimerlo, ma viene fermata all'ultimo momento da Adamo. «Lo nutrirò di latte e di frutti», egli dice prendendo il bimbo e portandolo via con sé. Ma al-Sindid scatena i suoi Arconti alla ricerca dell'infante. Per far sì che venga allo scoperto, i demoni lo privano del cibo uccidendo il bestiame da latte e distruggendo le piante da frutto. Alla vista di questo sterminio, Adamo prende il piccolo Seth e lo pone al centro di tre cerchi magici, sui quali recita tre distinte invocazioni: sul primo pronunzia il nome del Re dei Giardini di Luce (cioè il Padre della Grandezza = Zurwan), sul secondo il nome dell'Uomo primigenio e sul terzo quello dello Spirito Vivente. Un rituale teso ad affermare la natura totalmente «altra» di Seth, aliena da ogni contaminazione con la generazione arcontica. È l'individuarsi di un Dio che precipita dal cielo della trascendenza, distante e neutrale, per accadere in una relazione, con tutta la precarietà e l'instabilità che questo stesso concetto comporta, trattandosi di un «io» e di un «tu» in continua mutazione reciproca. È più facile accettare la contingenza del cosmo, che quella di Dio, perché significa ammettere che nella trama del reale, del già tutto visto e previsto, detto e pensato, possano esserci delle vacuità che attraggano la presenza divina; che l'amore, il desiderio e il bisogno, nella loro mancanza di pienezza abbiano più attrattiva su Dio del mondo già bell'e fatto, così bello da compiacersi di se stesso nella ripetizione. Fascinazioni che troveremo sublimate nella poetica di Eugenio Tabano.
Eugenio Tabano nasce a Trieste il 16 ottobre 1956. Si occupa da decenni degli aspetti metafisici
e spirituali della Ricerca Tradizionale della Conoscenza di Sé.
All’inizio degli anni ‘90 stabilisce a Trieste il Centro Tarsis che orienta a tali temi.
Ha curato
La Via Spirituale (Semar, Roma, 2002), curato e tradotto
Uno Gnostico Sconosciuto del XX secolo (Il Cerchio, Rimini, 2010).
Ha pubblicato
I Fogli dei Quaranta (Il Murice, Trieste, 2017);
Il Sentiero dei Lupi e
I Fogli dell’Arca (entrambi editi da Le lettere scarlatte, Trieste, 2019);
Il Sigillo del Tempo e
Maschera e Volto (Audax editrice, Udine, 2021 e 2022);
La Tradizione della Luce. Un documento di gnosi vivente (testo curato) (WriteUp Books, Roma, 2022);
L'Eredità dei Magi (Edizioni Ester, Torino, 2023);
Orione. A proposito dell'antichità dei Veda (testo curato) (WriteUp Books, Roma, 2023);
Sapienza Celeste. Luce e Fuoco dall'Iran antico all'Islam (testo tradotto) (Edizioni Ester, Torino, 2024).
È anche l’autore degli scritti che sono comparsi sul sito www.tarsis.it dal 2012 ad oggi.
Il simbolo rappresenta quattro volte il Nome 'Alì.